We can be Heroes

L’avversario in testa

Il tiro a segno è uno sport bellissimo per chi come me lavora da mental coach con l’atleta sulla sua capacità di gestire il proprio stato. Nel tiro a segno l’aspetto mentale è cruciale poiché l’atleta è solo con il più temibile degli avversari: se stesso. Calma e concentrazione sono elementi che incidono sulla prestazione al pari del gesto tecnico; una mano che trema, un respiro irregolare, il battito accelerato e la mente che vaga possono far inclinare l’arma un poco, quel tanto che basta a incidere in maniera sostanziale sulla traiettoria del proiettile, determinando la differenza che passa tra la vittoria e la sconfitta. Marco De Nicolo pratica il tiro a segno da una vita, ha conquistato il terzo posto ai campionati mondiali, ed è arrivato primo ai giochi del Mediterraneo. Ha cominciato ad andare al poligono fin da bambino per vedere suo padre che gareggiava e ha iniziato a sparare a sedici anni, nel 1992. Ecco come mi ha raccontato la sua storia: “Dal primo colpo è nato tutto. E’ diventato come una droga e ho scoperto qualcosa che conoscevo benissimo e che avevo ignorato… come quando uno si innamora dell’amica che conosce da quindici anni. Fin dall‘inizio ad appagarmi è stata la voglia di ottenere un miglioramento. Magari in pochi se ne rendono conto dall’esterno, ma il miglioramento di se stessi e della propria prestazione è alla base del tiro. In tanti altri sport magari ti devi confrontare con un avversario diretto, quindi sai che se lo superi ce l'ha fatta, mentre nel tiro ti devi confrontare con te stesso ed è forse l'avversario più temibile.” Le paure: “Mi riferisco in particolare alla paura di non riuscire, alla paura di essere bloccati. Ricordo ancora la prima gara che ho fatto: la mattina della gara volevo fingermi malato per non andare a gareggiare. Poi sono andato e durante la gara ho visto che nonostante queste paure si riesce ad esprimersi ed è una sensazione che difficilmente è paragonabile a qualcos’altro.” La consapevolezza: “E’ come quando si va a sostenere un esame universitario, si ha paura e ci si blocca prima di entrare dal professore, poi alla prima domanda ci si rende conto che le cose vengono naturalmente e data la prima risposta si diventa un fiume in piena. Per farlo forse non c’è una ricetta particolare, di sicuro devi conoscere te stesso, i tuoi bisogni, forse avere le giuste intuizioni e magari nel mio caso un po' c'entra anche il DNA. Nel mio caso, più si avvicina l'evento, più aumenta la pressione e al tempo stesso aumentano anche l'attenzione e la determinazione. Così capisco dove devo dirigere la mia attenzione e posso superare quelle che sono le impasse iniziali. Io pratico uno sport dove la componente mentale è determinante: c'è tanta tecnica di base, però per mettere in atto questa tecnica devi soprattutto attivare il cervello. Le due cose sono legate assieme, se funziona il cervello funziona la tecnica. Io so che ci sono alcuni stati d'animo che so essere una buona base per arrivare a rendere bene. Io so che le gare migliori che ho fatto sono state quando il livello di pressione era molto alto, perché per me la tensione comporta anche maggiore attenzione, maggior determinazione in risposta. Così per affrontare un evento in cui magari mi sento abbastanza scarico, mi alzo la mattina troppo rilassato, attivo consapevolmente i campanelli d’allarme. E’ quello è il momento in cui scattano, e mi dico – Marco sveglia! Ho sempre pensato che potrebbero esserci altre strade per fare questa cosa, che magari m'avrebbero reso la vita un pochino più facile. Credo che si possa sempre migliorare! (sorride…). Ci sono quelli che riescono ad essere migliori di sempre e sempre, ma per tutti credo che ci sia il momento di fiacca, il momento no, e la capacità è comunque quella di rialzarsi ogni volta.” Questo racconto che Marco ha condiviso con me è interessantissimo per capire quanto sia complessa e meravigliosa la mente umana e che strumento potentissimo sia per ciascuno di noi e soprattutto per un atleta. Cosa possiamo imparare quindi dall’esperienza di Marco? Lui ha una Strategia, una sequenza di azioni che svolge – come sentire i “campanelli” e dirsi “Marco sveglia!” – per entrare in un determinato stato di attenzione e determinazione. Marco ha la convinzione che proprio la paura e la pressione gli sono utili per entrare nello stato che a lui occorre per dare la prestazione migliore. Inoltre ha la convinzione di avere nel DNA qualcosa che lo aiuti. E tu, quando ti alleni o sei in gara, hai anche tu dei “campanelli”? Sai qual è la tua strategia per concentrarti?   A presto, Laura Salimbeni 

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