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L’imitata razionalità

Negli ultimi tempi si è parlato sempre più spesso di bitcoin e criptovalute e nel farlo si è citata frequentemente la frase – in verità profetica – di Bill Gates, pronunciata nel lontano 1994: banking is necessary, banks are not. Il servizio serve ma è sempre più evidente che con il tempo il meccanismo bancario, l’istituzione bancaria stessa, ha segnato il passo e sta sparendo superata da altre forme di gestione del denaro e dei pagamenti. Non entro nel merito di cripotovaluta e blockchain, poiché credo che ognuno possa formarsi la propria opinione sulla materia attingendo a fonti ben più autorevoli e dal momento che io non sono un esperto di finanza non desidero dare un giudizio su questa nuova forma di moneta che sicuramente per le caratteristiche importanti di fluttuazione sui mercati certo è materia per chi ha competenze ben strutturate in materia finanziaria. Oltretutto il 2017 è stato anche l’anno del Nobel al professor Thaler, che ha teorizzato un modello economico a razionalità limitata aprendo le porte dell’economia e della finanza alla psicologia e alla nascita di materie quali la finanza comportamentale. In queste nuove teorie si riconosce proprio questa asimmetria informativa nell’investitore che condiziona le sue scelte di investimento e quindi quelle stesse fluttuazioni del valore economico del bitcoin potrebbero essere ricondotte allo stesso sistema di scelte non-del-tutto-razionali tipiche del contesto economico reale. In questo senso, mi interessa fare una riflessione più ampia: i nuovi modelli di business, di impresa, di lavoro in sostanza non hanno inventato nulla di nuovo. Molto spesso hanno aggiornato le modalità, cambiato gli ambiti o sostituito le piattaforme ma nella sostanza facciamo oggi, in maniera diversa, quello che si faceva un tempo. E questa è la buona notizia: in tanti sono spaventati dal cambiamento anche se il cambiamento è nella realtà dei fatti l’unica costante della vita e per l’essere umano rimangono sempre validi i bisogni fondamentali e le dinamiche interne ed esterne al singolo e ai gruppi, cambia solo la forma in cui riusciamo a soddisfare i nostri bisogni e le nostre necessità. E questo vale anche per le nuove tecnologie che pongono di fronte a noi sfide più grandi e importanti da affrontare. Qual è dunque la soluzione? La soluzione è nella crescita personale, nello studio continuo, nell’aggiornamento professionale e personale: la paura nasce dalla mancanza di conoscenza rispetto all’oggetto stesso della paura e il timore che una macchina possa sostituirci nel nostro lavoro si può vincere solo crescendo, andando oltre l’oggetto della paura, studiando da esseri umani per renderci profondamente umani. Perché in fondo ciò che ci ha reso l’umanità che siamo oggi – nel bene e nel male ma io credo soprattutto nel bene – è proprio ciò che ci differenzia in modo sostanziale rispetto alle macchine: la nostra limitata razionalità e la capacità di provare emozioni. 

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