We can be Heroes

Il piacere di non fermarsi

Giorgio Calcaterra (www.giorgiocalcaterra.com) è uno dei personaggi più incredibili che si possa avere il privilegio di incontrare nel mondo dello sport. Lo chiamano il “tassista volante”, perché lui nella vita ha fatto veramente il tassista ed è una cosa che a lui piace raccontare; e poi corre, corre moltissimo. La sua vita è correre e questo ha ispirato anche il titolo della sua bellissima autobiografia (http://correreelamiavita.it/). E’ arrivato di corsa anche il giorno che l’ho incontrato e poi l’ho visto allontanarsi ancora correndo. Con lui abbiamo parlato di come chi sei e il motivo per il quale fai quello che fai influenzano profondamente tutto il tuo cammino, la sua direzione e il modo di affrontarlo: in questo senso Giorgio ne è uno straordinario esempio. E il dettaglio che lo rende quasi un alieno, anche per gli addetti ai lavori, è che Giorgio gareggia praticamente ogni week end, il che gli ha consentito di partecipare fino ad oggi a più di 1000 gare nella sua lunga carriera agonistica. Oltre alle innumerevoli vittorie e piazzamenti di prestigio, ha fatto registrare un solo ritiro al Mondiale di 100 km del 2007. E’ anche una persona di un’umiltà quasi disarmante. Mentre ti guarda con occhi sereni e sorridenti ti racconta: L’inizio: “C’è un aneddoto che mi ha sempre fatto pensare che la corsa per me è una cosa istintiva, qualcosa che sono (da notare il senso di identità). Ricordo che quando ero piccolo citofonavo a mia madre, mamma mi apriva, e io cercavo di arrivare dal portone fino alla porta di casa prima che lei arrivasse dal citofono alla porta. Penso che quella sia stata la mia prima gara contro il tempo e avevo circa otto anni. Essere chi, dove come, con chi e dove vuoi essere: “La corsa per me è un gioco, un istinto spontaneo, un divertimento e anche un modo di stare con gli altri, di vedere posti nuovi. Per me la corsa e tutto questo, mi dà un senso di libertà e di forza!  E poi spesso è anche un mezzo di trasporto, è la libertà di poter raggiungere un luogo. Una volta ad esempio sono partito da Roma per il Terminillo. Ho attivato il contachilometri alla partenza, e quando sono arrivato segnava esattamente 100. Ho pensato che l'idea di poterci arrivare di corsa, in libertà, era tutto quello che volevo.” La competizione: “Il 14 marzo del 1982 ho fatto la mia prima gara. Avevo 10 anni, ed era una prova non competitiva: la maratona di Roma. Ricordo la gente che correva accanto a me: c'erano mamme con carrozzine e persone con il cane al guinzaglio, e poi ricordo l'arrivo e l'abbraccio di mio padre. Per terra c’erano tutti i regali che davano gli sponsor come lo yogurt, i giocattoli, e io potevo prendere quello che volevo. E poi ricordo la festa, era una bella giornata primaverile, il prato del circo Massimo era colmo di margherite. Mi sembrava di stare nel paese dei balocchi. Oggi le sensazioni sono abbastanza simili, mi sento un po' più sicuro dei miei mezzi, magari, so dove posso arrivare e fino ad dove posso spingermi. Ricordo che nelle prime gare mi faceva male il fianco, adesso quei dolori non li ho più, comunque la sensazione di benessere di quando finisci un allenamento o una gara, c’è.” Le interferenze: “Certo dipende da gara a gara, magari alcune volte non sei in formissima, non sempre hai sensazioni positive, a volte puoi sentirti stanco, poi però nella maggior parte delle gare, per fortuna ti senti bene e hai voglia di correre. Cambia molto da gara a gara, da percorso a percorso, da giornata a giornata. Magari mi sbaglio ma anche se non facessi i risultati che faccio, io correrei lo stesso, proprio per questa mia voglia e per questa mia capacità. Credo che tenterei con un obiettivo minore.” Lo scopo: “Il vero scopo, quello che fa correre, è il piacere di non fermarsi, perché fermarsi è la fine. Bisogna andare avanti, la corsa come la vita è un movimento continuo. La corsa mi dà molto: la possibilità di viaggiare, la soddisfazione e soprattutto mi dà questo senso di benessere che è la cosa più importante.” Se rileggi con attenzione le sue parole, troverai che tutti i livelli logici sono allineati. Dall’identità, che esprime immediatamente, a tutti gli altri. Per Giorgio, correre è una parte di lui, è come se fosse un modo di esprimersi, di essere: Giorgio sa quello che vuole e perché lo vuole. La sua strategia è semplice e come tutte le cose semplici è estremamente efficace: lui vive nel presente e il presente; vede, ascolta e percepisce gli stimoli, mentre li sente addosso decide ciò che va bene e ciò che non va e sulla base della risposta agisce. Racconta che prima della gara gioca e scherza con i “compagni di viaggio” fino a qualche istante prima, e poi, come se avesse un pulsante ON-OFF, entra in uno stato di rilassata concentrazione e affronta ogni evento rimanendo nel presente, un passo alla volta. La sua convinzione più forte si sposa perfettamente con il suo scopo: fermarsi è la fine. E tu sai perché fai quello che fai? Quale è il tuo scopo, la ragione per cui pratichi il tuo sport?   A presto, Laura Salimbeni 

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